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Non si tratta di appropriazione indebita la mancata liquidazione, da parte del cliente-assicurato, delle spese legali a questi liquidate dall'assicurazione a seguito di rifusione dei danni da sinistro. E' infatti necessario, per ravvisarsi il reati di cui all'art. 646 C.P:

  • l'appartenenza dei beni oggetto di appropriazione, ad un terzo in virtù di un titolo giuridico;

  • il possesso legittimo dei suddetti beni da parte del terzo;

  • la volontà di interversione del possesso, ossia quando il possessore manifesta al detentore della proprietà di volerne diventare a sua volta propretario;

  • l'ingiusto profitto.



Tribunale di Salerno
Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari

Ordinanza 10 dicembre 2013
Proc. n. 12325/08/21 rgnr n. 2722/09 - R. G.i.p.

ORDINANZA DI ARCHIVIAZIONE (art. 408, 409, 410 c.p.p.)


Il Giudice dr Massimiliano De Simone,
visti gli atti del procedimento emarginato, iscritto a carico di K. M. per il reato di cui all’art. 646 c.p.;
esaminata la richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero e pervenuta in data 13.3.2013;
letta l’opposizione presentata nell’interesse della persona offesa;
sentite le parti all’udienza camerale del 2.12.2013;
sciogliendo la riserva di cui alla citata udienza;

OSSERVA

La richiesta di archiviazione deve essere accolta.

Al riguardo, deve rilevarsi, in primo luogo, che la Suprema Corte (Cass., sez. II, 25 maggio 2011, n. 25344) ha statuito, in caso analogo, che “non integra il delitto di appropriazione indebita la condotta della parte vincitrice di una causa civile che trattenga la somma liquidata in proprio favore dal giudice civile a titolo di refusione delle spese legali, rifiutando di consegnarla al proprio avvocato che la reclami come propria. Ciò in quanto le spese legali sono liquidate in sentenza in favore della parte vincitrice e non del professionista che l’assiste, il quale può farsi pagare direttamente dal cliente in virtù del rapporto di mandato che li lega, ed indipendentemente dalla liquidazione che il giudice effettua in sentenza…”.

Negli stessi termini si è espressa la giurisprudenza di merito più recente (cfr. Corte di Appello di Catanzaro 04/04/2012, in Giurisprudenza di Merito 2013, 6, 1391: “Non ricorre il reato di appropriazione indebita quando il cliente si appropria di somme pagategli dall’assicurazione a titolo di ristoro del danno e di copertura delle spese legali, appartenendo il denaro all'assicurato che può attribuirgli qualunque destinazione in quanto non vi è presente alcun vincolo di destinazione, pur rimanendo lo stesso obbligato verso il suo legale di fiducia, senza che quest'ultimo abbia titolo per vantare una legittima pretesa su tale somma.”), superando l’orientamento previgente, (Trib. La Spezia 13 ottobre 2011, n. 970, in DeJure Giuffrè) per cui “in tema di appropriazione indebita, integra la fattispecie contestata la condotta di colui il quale, cliente di uno studio legale, trattiene indebitamente una somma di denaro che sia pacificamente spettante quale compenso professionale al difensore e della quale egli si sia trovato in possesso in quanto liquidatagli unitamente alle somme a lui destinate; ciò alla luce anche della costante giurisprudenza formatasi sul caso opposto, relativa cioè alle somme trattenute dal difensore in danno del cliente” (la giurisprudenza in questione è Cass. Sez. 2, Sentenza n. 41663 del 18/06/2009, Vitalone: “Integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell'esercente la professione forense che trattenga somme riscosse a nome e per conto del cliente”; idem Cass. Sez. 6, Sentenza n. 1410 del 19/11/1998 , Rosiello).

Orbene, il giudicante ritiene di dover condividere l’orientamento più recente, peraltro avallato dalla giurisprudenza di legittimità parimenti più recente, e ciò in quanto, venendo al caso di specie, la dicitura “di cui per spese di patrocinio” enunciata nella nota della Milano Assicurazioni del 16.5.2012 di fianco alla indicazione “euro 800,00” quale quota parte dell’indennizzo liquidato in favore della K., non può ritenersi idoneo, di per sé, ad implicare la costituzione di un vincolo di destinazione sulla somma in questione.

Difatti, a seguito del fatto illecito, costituito dal sinistro, sorge, di regola e ai sensi degli artt. 2043 ss. c.c., un rapporto obbligatorio che vede ex latere debitoris il danneggiante, surrogato dall’ente assicurativo ai sensi degli artt. 1882 ss. c.c., e, sotto il profilo attivo, il danneggiato. La compagnia, pertanto, non può che liquidare l’indennizzo – sostitutivo del risarcimento - in favore della sola vittima del sinistro, allo scopo di ristorare esclusivamente il danno da costui subito, oltre, secondo prassi, agli oneri accessori direttamente derivanti dal sinistro (quali le spese di CTP e difesa).

In tale fattispecie non si instaura un rapporto giuridico fra compagnia e professionista - trattandosi, peraltro, di vicenda stragiudiziale in cui non vi è obbligo di difesa tecnica - e non può giustificarsi in alcun modo la liquidazione, in favore di quest’ultimo, di una posta separata di indennizzo, che, a questo punto, verrebbe consegnata al danneggiato conferendo a quest’ultimo la qualità di mandatario all’incasso.

Il separato rapporto fra cliente e difensore, invece, segue una separata vicenda liquidatoria, indipendentemente da quanto liquidato dall’assicurazione.

In conclusione, il fatto-reato deve ritenersi insussistente per carenza dell’elemento oggettivo, ovvero l’altruità della cosa.

P.Q.M.

visti gli artt. 408, 409 e 410 c.p.p.,

DISPONE

l’archiviazione del procedimento meglio indicato in epigrafe ed

ORDINA

la restituzione degli atti al Pubblico Ministero in sede.
Salerno, 10.12.2013.
Il Cancelliere
Il G.I.P.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II PENALE
Sentenza 25 maggio - 24 giugno 2011, n. 25344
Svolgimento del processo


Con sentenza del 8/7/2010, la Corte di Appello di Bari confermava la sentenza pronunciata in data 21/01/2008 con la quale il Tribunale della medesima città aveva assolto G.A. dal reato di cui all'art. 646 c.p., "per essersi appropriato indebitamente della somma di Euro 16.710,00 percepita al solo scopo di corrisponderla al suo legale avv. L.N. ed in realtà mai consegnata". p.2. Avverso la suddetta sentenza, il PROCURATORE GENERALE presso la Corte di Appello di Bari ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione dell'art. 646 c.p..

Sostiene, infatti, il ricorrente che le somme liquidate dal giudice in favore del difensore sono detenute dalla parte vincitrice nomine alieno, con la conseguenza che, mutare ad opera della parte vincitrice in giudizio la destinazione delle somme liquidate dal giudice in sentenza trattenendole per sè, costituisce un comportamento appropriativo che integra gli estremi della condotta descritta nell'art. 646 c.p..


Motivi della decisione


Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.

Il fatto che ha dato origine al presente procedimento penale è pacifico:

all'esito di un giudizio civile, al G., assistito dall'avvio L.N., veniva liquidata la somma di Euro 16.710,00 a titolo di competenze legali. Il G., però, non pagava l'avv.to L.. Da qui il processo.

In punto di diritto, è appena il caso di rammentare che i requisiti giuridici perchè possa ritenersi configurabile il reato di cui all'art. 646 c.p., sono i seguenti: a) l'appartenenza dei beni oggetto di appropriazione, ad un terzo in virtù di un titolo giuridico; b) il possesso legittimo dei suddetti beni da parte del terzo; c) la volontà di interversione del possesso, la qual cosa si verifica quando il possessore effettua e rende esplicito al proprietario del bene, l'interversione del possesso ossia la sua volontà di non restituire più il bene del quale ha il possesso; d) l'ingiusto profitto.

Infatti, la ratio dell'art. 646 c.p., "deve essere individuata nella volontà del legislatore di sanzionare penalmente il fatto di chi, avendo l'autonoma disponibilità della res, dia alla stessa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che giustificano il possesso della stessa": Cass. 11628/1989 riv 182001.

Tanto premesso in diritto, occorre quindi verificare: a) se la somma liquidata dal giudice a favore del G. fosse o meno di proprietà dell'avv.to L.; b) se il G. la possedeva in virtù di un qualche legittimo titolo di possesso e, quindi, se effettuò l'interversione.

La risposta ai suddetti quesiti discende dalla disamina del rapporto che lega il cliente all'avvocato.

In proposito è indiscusso che il suddetto rapporto ha alla base un rapporto di mandato professionale a seguito del quale il professionista ha il diritto di pretendere il pagamento della prestazione.

Il pagamento della suddetta prestazione costituisce, quindi, a carico del cliente, un obbligo che discende dall'interno rapporto di mandato essendo regolamentato dalle pattuizioni che le parti hanno stabilito in ordine al quantum ed alle modalità.

Nell'ipotesi, poi, di una causa civile, le modalità con le quali il professionista può farsi pagare sono due: 1) direttamente dal cliente ed indipendentemente dalla liquidazione che il giudice effettua in sentenza; 2) direttamente dalla parte soccombente: è l'ipotesi espressamente prevista dall'art. 93 c.p.c., che disciplina la fattispecie, appunto, della distrazione delle spese.

Nel caso in esame, è pacifico che la somma in questione venne liquidata a favore non dell'avv. L. ma direttamente a favore del G. in quanto parte vincitrice a titolo di spese.

E' chiaro, pertanto, che quella somma era di sua esclusiva proprietà ed alla stessa il G. era libero di dare la destinazione che più gli aggradava pur essendo tenuto al pagamento della parcella dell'avv.to L.

Costui, quindi, non poteva su di essa accampare alcun diritto potendo solo richiedere la somma ritenuta congrua a titolo di parcella per l'opera professionale svolta, direttamente nei confronti del suo cliente, somma che avrebbe potuto essere, in ipotesi, sia minore che superiore a quella liquidata dal giudice.

Erra, quindi, il P.G. ricorrente quando sostiene che la somma liquidata aveva un vincolo di destinazione a favore dell'avvocato.

In realtà, la somma era di proprietà esclusiva del G. essendo stata liquidata a suo favore, sicché nessuna appropriazione indebita è ipotizzabile proprio perché manca il principale presupposto giuridico ossia che la somma fosse di proprietà dell'avvocato e che il G., possedendola per un legittimo titolo, effettuò l'interversione del possesso rifiutandosi di consegnarla all'avvocato.

Nel respingere pertanto il ricorso può enunciarsi il seguente principio di diritto: "non commette il reato di appropriazione indebita la parte vincitrice di una causa civile - a cui favore il giudice abbia liquidato una somma a titolo di spese legali - che si rifiuti di consegnarla al proprio avvocato che reclami come propria la suddetta somma".


P.Q.M.


RIGETTA il ricorso.

 
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