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Corte di Cassazione - Sentenza del 12 maggio 2009, n. 20066

Svolgimento del processo



Con sentenza in data 27 maggio 2005, la Corte d’Appello di Messina, sezione penale, confermava la sentenza del Tribunale in sede, con la quale l’appellante (…) era stato dichiarato colpevole di truffa aggravata (artt. 640, 61 n. 11 c.p.) e di patrocinio infedele (art. 380 c.p.) ai danni del proprio assistito (…) (indotto a consegnare all’imputato la somma di quindici milioni di lire al fine di costituire un deposito cauzionale per ottenere la cancellazione di ipoteca} e condannato, ritenuta la continuazione, alla pena di due anni di reclusione ed € 800,00 di multa nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidare in separato giudizio e alla rifusione delle spese. La Corte territoriale riteneva fondata la prova della responsabilità sulla scorta delle dichiarazioni testimoniali della persona offesa, confermate da quelle della moglie (…) degli altri testimoni escussi avv. (…), (…) nonché dal contenuto delle conversazioni telefoniche e dirette, oggetto di registrazione da parte di (…). L’assunto secondo il quale la consapevolezza della mancata cancellazione dell’ipoteca non avrebbe comportato alcuna influenza sulla stipula del contratto di vendita era smentito da tutto il testimoniale avendo (…) riferito che non si sarebbe determinato all’acquisto del capannone senza la previa assicurazione della cancellazione dell’ipoteca. L’esistenza di crediti per altre prestazioni professionali non eliminava la causale della consegna dei quindici milioni destinati alla costituzione di deposito cauzionale, sicché l’imputato, non avendo effettuato il deposito, mise P. nella condizione di non poterne richiedere la restituzione. Inconferente era la questione attinente la consegna di assegni privi di copertura, perché dal contenuto delle intercettazioni risulta per ammessa la ricezione di tale somma con la falsa causale della costituzione di deposito cauzionale, avendo creato una messa in scena al momento della stipula del contratto di compravenda del capannone in data 7 ottobre 1997 con l’esibizione di un foglietto per provare la restrizione dell’ipoteca. Doveva ritenersi sussistente anche il delitto di cui all’art. 380 c.p. , perché nella condotta sanzionata deve ricomprendersi anche l’attività connessa all’esercizio della professione forense e non solo quella che si estrinseca in affettiva attività processuale. In ogni caso il ricorso ex art. 700 c.p.c. venne depositato l’8 ottobre 1997. L’imputato non informò il cliente del suo rigetto con provvedimento dei successivo 6 novembre.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento a norma dell’art. 606 c., 1 lett. a), b), c), e) c.p.p.; in relazione all’art. 103 c. 5, 191 c. 2, 266, 267, 268 e 271 nonché 125 c. 3 c.p.p. e 111 c. 6 Cost. per inutilizzabilità delle conversazioni oggetto di intercettazione in particolare perché intervenute con il difensore; -in relazione agli artt. 190, 211, 220, 236, 508 e 603 c.p.p. perché a fronte della contestazione da parte del V. di aver colloquiato con P. per essersi trovato in Padova, la Corte di appello avrebbe dovuto disporre nuova perizia fonica, quella disposta dal Tribunale essendosi rivelata inidonea, nonché il confronto, immotivatamente negato; - in relazione all’art. 125 c. 3, 111 Cost., 192, 530, 605 c.p.p., 640, 61 n. 11, 380, 157, 160 c.p. per omesso accertamento sull’attendibilità della persona offesa, portatrice di concreti interessi e già condannato per calunnia (accertamento che i giudici di merito avrebbero dovuto espletare a norma dell’art. 236 c.p.p.) e per apodittica affermazione della scarsa importanza della denunciata contraddittorietà dalle sue dichiarazioni, impropriamente ritenute riscontrate da quelle della moglie e del fratello, il mendacio delle quali emerge al raffronto con quelle rese nel procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio dell’Ordine degli avvocati delle quali andrà disposta l’acquisizione in sede di rinvio. inconsistente deve ritenersi quanto riferito dagli altri testimoni, perché portatori di interesse e perché non confermato dal notaio alla cui audizione non si è proceduto. Inoltre la condotta serbata dal ricorrente in, occasione di tale incontro è irrilevante perché il ricorso da lui presentato è stato rigettato in epoca successiva. L’esito negativo non prova il mendacio del V. ed anzi la presentazione del ricorso prova l’attività professionale espletata. L’esito negativo non fu comunicato per irreperibilità del cliente per come riferito dal teste (…). La pluralità dei rapporti professionali escludeva la dimostrazione dell’appropriazione dalla somma, corrisposta con due assegni rilasciati dal fratello della persona offesa, privi di copertura e perciò restituiti, somma che, per le condizioni di difficoltà economica, non potevano certo essere corrisposte in contanti. Tralasciando la questione della diversa qualificazione ex art. 646 c.p. che in questa sede non interessa, precisato che non ricorrono i presupposti per ritenere sussistente l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 c.p., in ogni caso il reato è prescritto, salva comunque l’assoluzione nel merito. Quanto al delitto di cui all’art. 380 c.p. si osserva che al ricorrente non si contesta l’inadempimento di doveri professionali in pendenza di procedimento dinanzi all’Autorità giudiziaria. La prova dell’infedeltà è stata desunta dalla mancata informazione del rigetto del ricorso con violazione dell’art. 521 c.p.p. e conseguente nullità della sentenza. La mancata informazione all’atto della stipula del contratto non è comunque rilevante perché l’esistenza dell’iscrizione ipotecaria era nota ai contraenti ed allo stesso notaio rigante che di tanto era obbligato ad informarli;- in relazione agli artt. 597 c. 5 c.p.p., 62-bis, 81, 132, 133 c.p., perché, le generiche potevano essere concesse d’ufficio, l’aumento di pena exart. 61 n. 11 c.p. è stato quantificato con estremo rigore; il diniego della sospensione condizionale della pena è Ingiustificato in relazione a quella detentiva. La mancata restituzione delle somme non poteva essere posta a giustificazione della severità sanzionatone, la condotta positiva potendo solo legittimare il riconoscimento di specifica attenuante.



Motivi della decisione



1. Il primo motivo di ricorso, che eccepisce l’inutilizzabilità delle conversazioni intercorse fra l’imputato e la persona offesa, oggetto di registrazione da parte di quest’ultimo, è manifestamente infondato.

Ancora di recente questa Corte ha ribadito che “la registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni realizzata, anche clandestinamente, da soggetto partecipe di dette comunicazioni, o comunque autorizzato ad assistervi, costituisce prova documentale secondo la disciplina dell’art. 234 c.p.p. e non richiede autorizzazione preventiva da parte dell’autorità giudiziaria” (Cass. Sez. 4, 4-31.10.2007 n. 40332), in piena aderenza all’insegnamento delle Sezioni Unite (Cass. S.S.U.U. 28.5-24.9.2003 n. 36747), il cui intervento è tardivamente invocato dal ricorrente, essendo state investite della questione ben due anni prima della proposizione dei ricorso.

La circostanza che oggetto delle registrazioni siano state conversazioni intercorse tra il difensore e il suo cliente non incide sull’utilizzabilità delle stesse, in quanto il divieto di cui all’art. 103 c. 5 cod. proc. pen. riguarda le intercettazioni regolate dall’art. 266 e ss., vale a dire le captazioni occulte e contestuali di comunicazioni o conversazioni tra due o più soggetti tendenti ad escludere l’intrusione di soggetti diversi, captazioni effettuate da soggetto estraneo alle stesse mediante strumenti tecnici idonei a vanificare le cautele adottate per garantirne la riservatezza. La registrazione effettuata da soggetto partecipe della conversazione, anche se all’insaputa dell’altro, non è definibile intercettazione perché rientra nella diversa categoria della documentazione, disciplinata dagli artt. 234 e segg. (cfr. ancora Cass. SS.UU. cit.).

2. Il secondo motivo di. ricorso è inammissibile per la parte in cui per la prima volta in questa sede lamenta il mancato esperimento nel giudizio di appello di nuova perizia fonica. Oltretutto trascura di considerare che la sentenza impugnata (pagg- 6-7) ha giustificato il convincimento di inidoneità dell’alibi per l’accertato rientro a Messina nell’arco temporale compreso nel periodo di soggiorno in Padova (il 27 novembre 1997, per ammissione dello stesso ricorrente, e prova di un suo viaggio per Padova il 30 successivo).

Quanto all’”immotivato rifiuto al confronto” fra il ricorrente e il suo difensore si osserva che la sentenza, dopo aver dato atto nella parte narrativa che con l’appello si era chiesta la rinnovazione del dibattimento al fine di procedere al confronto, risponde per implicito sull’inutilità del chiesto mezzo istruttorio allorché osserva che “Pur non negando che l’imputato vantasse crediti ulteriori nei confronti, della controparte, il P. indicò una causale ben precisa per quei quindici milioni, e cioè la costituzione di un deposito cauzionale” (pag. 8 sentenza impugnata). Con l’appello, il confronto era stato chiesto proprio in relazione ai complessivi rapporti economici fra imputato e persona offesa. Il ricorso di tali argomentazioni della sentenza non dà conto, perché si limita a dolersi del mancato accoglimento della richiesta del mezzo istruttorio, definito essenziale ma senza alcuna indicazione specifica a giustificazione dell’assunto. Di qui l’inammissibilità a norma del combinato disposto degli artt. 581 lett. c) e 591 c. 1 lett. c) c.p.p.

3. Il terso motivo di ricorso, che lamenta la mancanza di accertamenti idonei a verificare l’attendibilità del querelante ed in particolare l’omessa acquisizione del certificato penale a norma dell’art. 236 c.p.p., omette di considerare che la sentenza impugnata, per vagliare la credibilità del teste, ha seguito un percorso argomentativo che, oltre a richiamare le dichiarazioni di persone legate da stretti vincoli familiari (moglie e fratello), ha rammentato quelle di persone estranee, presenti al momento della stipula (l’avvocato dell’acquirente, l’acquirente stesso, il fratello di questi). Dall’omessa audizione del notaio rogante (alla cui indicazione come testimone poteva provvedere la stessa parte oggi ricorrente) non può in questa sede pretendersi di dedurre argomenti alternativi, vale a dire di merito, come tali preclusi nel giudizio di legittimità. I giudici messinesi, peraltro, non hanno trascurato di considerare che effettivamente l’avv. V.. presentò ricorso ex art. 700 cod. proc. civ. in data 8 ottobre 1997. L’elemento rilevante valutato, che il ricorrente non contesta, è quello della mancata costituzione del deposito giudiziario cui era destinata la somma di quindici milioni di lire. Somma della quale, in maniera inammissibile perché tendente ad ottenere in questa sede un’alternativa valutazione di merito, il ricorrente adombra (peraltro genericamente) una diversa destinazione per la pluralità dei rapporti intercorrenti con P., da parte del quale dubitativamente (e quindi ancora in maniera generica, si opissa essere stata fatta confusione. Ancora in maniera inammissibile si ritorna sulla questione degli assegni, con generico riferimento a quanto “emerso, inconfutabilmente, nel dibattimento”, senza formulare alcuna critica al passaggio- della motivazione che affronta esplicitamente la questione, giudicandola irrilevante, il dato probatorio essendo costituito dalla convalidazione dell’assunto accusatorio da parte delle stesso imputato, desunta dal “contenuto delle intercettazioni (recte: registrazioni, n.d.e.) , dalle quali si evince chiaramente che l’imputato dava per scontato il fatto di avere ricevuto quindici milioni per eseguire il deposito cauzionale” (cfr. sentenza impugnata pag. 8).

Le altre questioni (sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 c.p.; diversa qualificazione giuridica ex art. 646 c.p.) sono poste in maniera generica perché in violazione dell’art. 581 lett. c) c.p.p. che impone che ogni richiesta sia sostenuta da issativi che indichino in maniera specifica le ragioni in diritto e gli elementi in fatto a sostegno dalla richiesta stessa; violazione sanzionata dal successivo art. 591 c. 1 lett. c) c.p.p..

4. L’ulteriore motivo di ricorso, con il quale si denuncia l’insussistenza del delitto di cui all’art. 380 c.p., è manifestamente infondato.

Per la sussistenza del reato di patrocinio infedele è necessaria, quale elemento costitutivo del reato, la pendenza di un procedimento nell’ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti con il mandato, che peraltro non deve necessariamente estrinsecarsi in atti o comportamenti processuali (Cass. sez. 6, 9.11-18,12.2006 n. 41370 conf- 197604436; diff. 199901410, 200500856; vedi 200507384,- 200513469).

Il delitto di patrocinio infedele è reato proprio, il cui soggetto attiva deve essere il “patrocinatore”; ne consegue che essendo detta qualità inscindibile dallo svolgimento di attività processuali, ai fini dell’integrazione del reato non è sufficiente che un avvocato non adempia ai doveri scaturenti dall’accettazione di un qualsiasi incarico di natura legale, ma occorre la pendenza di un procedimento nell’ambito del quale si sia realizzata la violazione degli obblighi assunti con il mandato (Cass, sez. 2, 29.1-8.2.2008 n. 6382)

Per l’esclusione delle attività prodromiche e per l’interpretazione strettamente letterale ancora Cass- Sez. 2, 16.3-12.4,2005 n. 13489; Cass. Ses. 6, 21.10-25.2.2005 n. 7384.

In senso contraria (cioè di includere anche le attività prodromi che, ma ricompresse nel mandato difensivo) si è espressa Cass, Sez. 6, 14-12.2004-18, 1.2005 n. 856.

Ed ancora si è stabilito che “il delitto i patrocinio o consulenza infedele non è integrato dalla sola infedeltà ai doveri professionali, occorrendo la verificazione di un nocimento agli interessi della parte, che, quale conseguenza della violazione dei doveri professionali, rappresenta l’evento del reato” (Cass, Sez. 6, 28,3-29.7.2008 n. 31678).

Per la valutazione complessiva della conduzione dell’attività difensiva vedi Cass. Sez. 6, 22.9-3.11.2005 n. 39924.

Integra il delitto la condotta del difensore che si appropri di somma ottenuta in via transattiva per conto della parte assistita in un giudizio in corso (Cass. Sez. 5, 8,2-25.3-2005 n. 11951).

Nel caso in esame, tuttavia, la sentenza impugnata, pur affermando di aderire alla interpretazione più lata, non trascura di considerare la condotta serbata nella fase processuale in senso stretto e che nel capo d’imputazione è infatti contestata anche per il periodo successivo alla presentazione del ricorso, in particolare per la parte in cui ha taciuto all’assistito l’esito negativo del ricorso con affermazione di aver in tal modo arrecato nocunento alla parte rappresentata.

L’assunto difensivo, secondo il quale la mancata informazione sull’esito del ricorso non sarebbe rilevante per la sussistenza del reato, è contraddetta dalla sentenza che ha specificamente individuato che da tale condotta infedele è derivato l’evento del reato cioè il nocumento costituito dalla mancata restituzione della somma destinata a costituire il deposito cauzionale, dalla mancata possibilità di impugnare il provvedimento e dal danno di immagine nei confronti dell’acquirente dell’immobile, al quale si era assicurata la cancellazione dell’ipoteca.

Non sussiste violazione dell’art. 521 c.p.p. perché il nocumento, ancorché genericamente indicato nel capo d’imputazione, ha trovato specificazione nel corso del giudizio, tanto che l’imputato ha potuto difendersi anche sotto questo profilo (anche attraverso il tentativo, non riuscito, di dimostrare che la responsabilità della mancata comunicazione dell’esito negativo del ricorso era da attribuire al denunciante).

5. Gli ulteriori motivi di ricorso sono inammissibili, quanto al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche perché lo stesso ricorrente lamenta soltanto che la Corte di appello non si è avvalsa del potere ufficioso di concederle a norma dell’art. 597 c. 5, c.p.p.. Quanto agli aumenti di pena per l’aggravante e per la continuazione il ricorso torna a svolgere argomentazioni di merito, senza formulare alcuna critica alla motivazione adottata dalla Corte territoriale ovvero limitandosi a criticare la sentenza di primo grado, senza specificare se la stessa era stata oggetto di critica con l’appello e se, in conseguenza, la sentenza oggi impugnata aveva omesso di motivare in relazione ad essa.

Quanto al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pana si osserva che la modifica normativa, in forza della quale il beneficio avrebbe potuto trovare accoglimento par la sola pena detentiva, è intervenuta con legge n. 145/2004, successivamente alla proposizione dell’appello, ma prima del relativo giudizio, sicché si sarebbe potuto e dovuto provvedere ad investire della relativa questione il giudice del gravame con motivi nuovi o anche in sede di conclusioni

6. In conseguenza della complessiva valutazione di inammissibilità del ricorso, l’eccezione della sopravvenuta prescrizione è anch’essa manifestatamente infondata par essersi la condotta protratta fino al dicembre 1997 e per essere stata pronunciata sentenza in grado di appello nel maggio 2005.

5. Il ricorrente deve per l’effetto essere condannato al pagamento delle spese processuali e di somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione dei profili di colpa desumibili dalle rilevate emise di inammissibilità, si quantifica in mille/00 euro.



P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1000,00 alla Cassa delle ammende.


 
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