Scarico non autorizzato e tenuità dell’offesa: Cass. Pen. 55304 del 30/12/16

In materia di scarichi di acque reflue, la totale assenza di informazioni sulla durata del versamento e, conseguentemente, sui quantitativi di sostanze immesse nell’impianto fognario, non consente di ravvisare la sussistenza dei requisiti richiesti per la causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen.: ciò in quanto non è possibile  valutare l’impatto realmente prodotto sull’impianto fognario, sulla funzione amministrativa di controllo avente ad oggetto la descritta attività di versamento e sul bene ambientale nei confronti del quale detta attività sicuramente incide.

a cura di
Cav. Avv. Rosa Bertuzzi
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SENTENZA

  1. Con sentenza emessa in data 20/10/2015 il Tribunale di Palmi condannò A.S. alla pena di mille euro di ammenda in relazione al reato di cui agli artt. 137, comma 1 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2016, per avere, in qualità di tecnico preposto alla gestione dell’impianto di depurazione della ditta S., scaricato nella rete fognaria comunale, senza autorizzazione, acque reflue di lavorazione dello stoccafisso non sottoposte a previo trattamento di depurazione provenienti dagli impianti della suddetta azienda, all’insaputa del titolare della stessa; fatto accertato in Cittanova il 24/03/2011.
  2. Avverso la sentenza di primo grado ha proposto ricorso l’imputato a mezzo del difensore fiduciario, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. B), cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 131-bis cod. pen., tenuto in conto del fatto che lo scarico nella rete fognaria delle acque reflue non depurate della lavorazione dello stoccafisso, configurerebbe un reato di particolare tenuità, come sarebbe stato implicitamente riconosciuto dallo stesso giudice di prime cure nel concedere le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena. Peraltro, secondo la Suprema Corte la causa di non punibilità in questione potrebbe essere riconosciuta ed applicata, per la prima volta, nel giudizio di legittimità.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato. Preliminarmente, si osserva che, come affermato dall’interessato, la Corte di cassazione può riconoscere la sussistenza dei requisiti previsti per l’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis del codice penale e può, altresì, provvedere, direttamente, alla concreta applicazione di tale istituto, quando tale soluzione risulti coerente con l’apprezzamento compiuto da parte del giudice di merito (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 266593).

Tuttavia quando, come nella specie, la richiesta sia stata formulata per la prima volta in sede di legittimità, la relativa istanza deve essere dichiarata inammissibile, ostandovi il disposto di cui all’art. 609, comma 3, cod. proc. pen., quando, come nella specie, la norma di cui all’art. 131-bis fosse già in vigore alla data della deliberazione della sentenza d’appello (Sez. 6, n. 20270 del 27/04/2016, dep. 16/05/2016, Gravina, Rv. 266678).

In ogni caso, quand’anche l’istanza avesse potuto essere scrutinata nel merito, il Collegio avrebbe comunque dovuto pervenire al rigetto della stessa.

Nel caso di specie, infatti, la sentenza di primo grado ha enucleato una serie di indicatori che parrebbero consentire l’applicazione della causa di non punibilità in questione, quali lo stato di incensuratezza dell’imputato, la modesta offensività della condotta e, infine, la non abitualità della stessa. È, infatti, opinione ormai acquisita alla elaborazione giurisprudenziale che le ipotesi di rilevanza penale riconducibili al paradigma del reato permanente non siano necessariamente connotate dal requisito della abitualità.

Tuttavia, secondo quanto rilevato, in altra occasione, da questa Sezione della Suprema Corte, le ipotesi di reato permanente importano una attenta valutazione con riferimento alla configurabilità della particolare tenuità dell’offesa, la cui sussistenza è tanto più difficilmente rilevabile quanto più a lungo si sia protratta la permanenza (Sez. 3, n. 47039 in data 8/10/2015, dep. 27/11/2015, P.M. in proc. Derossi, Rv. 265448).

Nel caso di specie, la totale assenza di riscontri in ordine alla durata del versamento e, conseguentemente, in ordine ai quantitativi di sostanze immesse nell’impianto fognario non consente di ravvisare, sotto il profilo da ultimo illustrato, la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 131-bis cod. pen., non consentendo di apprezzare l’impatto realmente prodotto sull’impianto fognario e, con esso, l’effettivo impatto sia sulla funzione amministrativa di controllo avente ad oggetto la descritta attività di versamento, sia sul bene ambientale nei confronti del quale detta attività sicuramente incide.

Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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