Responsabilità del proprietario per rifiuti smaltiti da altri Cass. pen. Sez. III, Sent. 09-12-2013 n. 49327

Mancata responsabilità del proprietario per omissione in relazione ai rifiuti smaltiti da altri.

La realizzazione della discarica non può essere addebitata al proprietario a titolo di responsabilità omissiva, giacchè sul proprietario in quanto tale non grava alcuna posizione di garanzia in ordine ai rifiuti, atteso che gli obblighi di corretta gestione e smaltimento dei rifiuti sono posti esclusivamente a carico dei produttori e dei detentori dei rifiuti medesimi. In particolare, nessun obbligo giuridico di controllo può ravvisarsi a carico del proprietario in relazione a rifiuti gestiti e smaltiti da altri, tale non essendo, evidentemente, l’obbligo di ripristino che ha carattere riparatorio e non preventivo.

Rosa Bertuzzi

(omissis)

Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Aosta dichiarò estinto per rimessione in pristino dello stato dei luoghi il reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, ed assolse perchè il fatto non sussiste M.F. dalle altre imputazioni di cui al decreto di citazione del 26.11.2011 (RGNR 2125/2011), mentre lo dichiarò colpevole dei reati di cui al decreto di citazione 26.11.2011 (RGNR 1968/2011) e precisamente dei reati di cui: capo A) al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, per avere, quale titolare dell’omonima ditta individuale, tombato una rilevante, quantità di rifiuti di demolizione, provenienti da altri cantieri, nelle fondazioni di un costruendo fabbricato, destinato a deposito interrato (magazzino artificiale); capo B) al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, per avere, quale titolare dell’omonima ditta individuale, scaricato nel torrente (OMISSIS) i fanghi formatisi sul suolo in seguito al deposito di residui derivanti dalla produzione di calcestruzzo nonchè vari sacchi di materiale rizzato per produrre miscele bituminose; capo C) al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, per avere, quale titolare dell’omonima ditta individuale, abbandonato o comunque stoccato, senza autorizzazione, una rilevante quantità di rifiuti costituiti da materiale inerte di scavo e da demolizioni provenienti da altri cantieri – e lo condannò alla pena di Euro 10.000 di ammenda. L’imputato, a mezzo dell’avv. Francesco D’Alessandro, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione in relazione al capo C) della imputazione del proc. n. 1968/11 RGNR. Osserva che la sentenza impugnata manca totalmente di motivazione in relazione alla condanna per il capo C). Il giudice, ritenendo erroneamente di spiegare i motivi che lo hanno portato a ritenere il sig. M. responsabile del reato di cui al capo C) dell’imputazione ha invece fatto pacificamente riferimento al capo B) dell’imputazione, omettendo qualsiasi parola sul capo C). Tuttavia, ha poi aumentato la pena anche per il capo C), senza in alcun modo rispondere alla eccezione della difesa che sosteneva di avere dimostrato che il contestato deposito dei rifiuti era avvenuto in modo assolutamente regolare, in quanto si trattava di deposito temporaneo di materiale da scavo proveniente da un cantiere in cui la ditta M. stava realizzando degli scavi finalizzati alle realizzazione di un immobile e che l’area di deposito era funzionalmente collegata al cantiere (sempre del sig. M.) in cui era stato prodotto, come del resto risultava dal verbale di sequestro. Eccepisce ancora che la difesa aveva, altresì, dimostrato che lo “stoccaggio” risulta essere stato espressamente autorizzato dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta con nota in data 9.6.2009. Su questi punti non c’è nemmeno un solo rigo di motivazione.
2) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla condanna per il capo A). Ricorda che sul punto la sentenza ha affermato che, quand’anche fosse vera la tesi della difesa che i mattoni e i blocchetti in conglomerato cementizio di colore rosso non fossero rifiuti, “i rifiuti interrati non si componevano soltanto di tali materiali, ma anche di rifiuti di altra natura (cemento, metallo e asfalto), provenienti da diversi cantieri che avrebbero dovuto essere avviati alla discarica”. Sennonchè la difesa aveva anche dimostrato che il bilancio di produzione dei materiali di scavo prevedeva espressamente che gli “inerti in esubero” potessero essere riutilizzati dall’impresa esecutrice dei lavori “nell’ambito delle sue attività”. Pertanto, il “tombamento” dei materiali oggetto di processo era espressamente autorizzato dal citato provvedimento regionale. Lamenta che anche su questo punto manca qualsiasi motivazione.
3) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla condanna per il capo B), con il quale gli era stato contestato di avere “scaricato nel torrente (OMISSIS) i fanghi formatisi sul suolo (…) nonchè vari sacchi di materiale utilizzato per produrre miscele bituminose”. Osserva ora che la difesa aveva dimostrato che lo scarico di tali materiali non poteva essere attribuito al M., ma era da attribuirsi alla condotta illecita di terzi. Il giudice ha ritenuto irrilevante questa circostanza per la ragione che “l’omessa predisposizione di una adeguata recinzione a fronte di ripetuti sversamenti abusivi di rifiuti è sicuramente rimproverabile, a titolo di colpa, a colui che ha la disponibilità dell’area”. Egli cioè sarebbe responsabile degli sversamenti effettuati nottetempo nel vicino torrente da parte di terzi perchè non avrebbe predisposto “una adeguata recinzione”, nonostante avesse segnalato il fatto al corpo forestale. In sostanza, il giudice ha creato una posizione di garanzia, che non trova fondamento alcuno nel nostro ordinamento giuridico, in forza della quale chi è proprietario di un terreno adiacente ad un torrente deve cintarlo affinchè nessuno possa scaricare rifiuti nello stesso; altrimenti, è responsabile (“a titolo di colpa”) del comportamento illecito dei terzi.
4) erronea applicazione della legge penale e contraddittorietà della motivazione in riferimento alla mancata applicazione della diminuzione ex art. 442 c.p.p., comma 2. Infatti il giudice, pur avendo ammesso “l’imputato … al giudizio abbreviato” ha dimenticato i applicare la riduzione di pena prevista dall’art. 442 c.p.p., comma 2.
Motivi della decisione
I motivi di ricorso sono tutti fondati.
Per quanto concerne il primo motivo, effettivamente la sentenza impugnata manca totalmente di motivazione in ordine al capo C) della imputazione, con il quale era stato contestato all’imputato di avere abbandonato o comunque stoccato, senza autorizzazione, una rilevante quantità di rifiuti costituiti da materiale inerte di scavo e da demolizioni provenienti da altri cantieri. Infatti il giudice, nel trattare il reato di cui al capo C), ha invece fatto erroneamente riferimento esclusivamente al reato di cui al capo B), con tutta evidenza confondendo le due imputazioni. A proposito del reato di cui C), invero, il giudice si limita a confutare la tesi difensiva secondo cui l’abbandono incontrollato di rifiuti costituiti da materiale inerte di scavo e da demolizioni provenienti da altri cantieri sarebbe avvenuto da parte di ignoti, fuori dagli orari di attività della ditta. Sennonchè, questa eccezione difensiva si riferiva pacificamente alla imputazione contestata con il capo B), ossia agli sversamenti nel torrente (OMISSIS) e non già al deposito incontrollato di materiale inerte di scavo e di demolizioni. Con il che la sentenza impugnata non solo non ha motivato sulla sussistenza del reato contestato al capo C), ma ha anche omesso totalmente di esaminare le specifiche eccezioni sollevate in riferimento a tale reato e di motivare in proposito. La difesa aveva infatti eccepito che il contestato deposito di rifiuti era avvenuto in modo assolutamente regolare, in quanto i cumuli di rifiuti inerti oggetto di contestazione erano costituiti da materiale di scavo, depositato temporaneamente in un area di proprietà del sig. M., proveniente da un cantiere in cui la ditta M. stava realizzando degli scavi finalizzati alle realizzazione di un immobile; ed in quanto l’area in cui era stato temporaneamente depositato il materiale di scavo era funzionalmente collegata al cantiere (sempre del sig. M.) in cui era stato prodotto (come risulterebbe oltre che dalle foto in atti, dallo stesso verbale di sequestro). La difesa aveva quindi dedotto che, ai sensi del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, il deposito temporaneo è consentito (senza necessità di autorizzazione) purchè avvenga presso il luogo di produzione dei rifiuti; e che, secondo la giurisprudenza, il luogo di produzione dei rifiuti, rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo, non è solo quello in cui i rifiuti sono prodotti ma anche quello in disponibilità dell’impresa produttrice nel quale gli stessi sono depositati, purchè funzionalmente collegato a quello di produzione. La difesa inoltre aveva anche dedotto che lo “stoccaggio” risultava essere stato espressamente autorizzato dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta con nota in data 9.6.2009, in quanto l’area in sequestro era stata individuata proprio “per lo stoccaggio temporaneo di materiali derivanti da scavo”. In sostanza, secondo la prospettazione difensiva, il materiale sequestrato era stato depositato in modo del tutto legittimo in quanto il luogo del deposito era funzionalmente collegato al luogo di produzione e che, in ogni caso, il deposito del materiale era stato autorizzato con il detto provvedimento regionale. Su tutte queste eccezioni, astrattamente decisive, la sentenza impugnata manca totalmente di motivazione. Con il secondo motivo, il ricorrente contesta la condanna per il reato di cui al capo A), concernente il tombamento di una rilevante quantità di rifiuti di demolizione, provenienti da altri cantieri, nelle fondazioni di un costruendo fabbricato, destinato a deposito interrato. Il ricorrente ricorda che sul punto la sentenza ha affermato che, quand’anche fosse vera la tesi della difesa che i mattoni e i blocchetti in conglomerato cementizio di colore rosso non fossero rifiuti, tuttavia “i rifiuti interrati non si componevano soltanto di tali materiali, ma anche di rifiuti di altra natura (cemento, metallo e asfalto), provenienti da diversi cantieri che avrebbero dovuto essere avviati alla discarica”. Lamenta ora il ricorrente che la difesa, oltre ad aver evidenziato che “i blocchetti” non erano rifiuti, aveva anche dimostrato che il bilancio di produzione dei materiali di scavo, firma del tecnico regionale, ing. Z.L., prevedeva espressamente che gli “inerti in esubero” potessero essere riutilizzati dall’impresa esecutrice dei lavori “nell’ambito delle sue attività”; e che pertanto, il “tombamento” dei materiali oggetto di processo era espressamente autorizzato dal detto provvedimento regionale. Orbene effettivamente, su queste specifiche eccezioni difensive, la sentenza impugnata manca totalmente di qualsiasi motivazione. Con il terzo motivo si contesta la condanna per il reato di cui al capo B), relativo all’avere “scaricato nel torrente (OMISSIS) i fanghi formatisi sul suolo (…) nonchè vari sacchi di materiale utilizzato per produrre miscele bituminose”. Deduce il ricorrente che la difesa aveva dimostrato che lo scarico di tali materiali non poteva essere attribuito al M., ma era da attribuirsi alla condotta illecita di terzi. Il giudice (ancorchè riferendosi erroneamente al capo C)) ha ritenuto irrilevante questa circostanza (ossia che lo sversamento sarebbe avvenuto da parte di ignoti, fuori degli orari di attività della ditta) per la ragione che la contravvenzione contestata è punibile anche a titolo di colpa e che “l’omessa predisposizione di una adeguata recinzione a fronte di ripetuti sversamenti abusivi di rifiuti è sicuramente rimproverabile, a titolo di colpa, a colui che ha la disponibilità dell’area”. E’ di tutta evidenza l’erroneità di questa motivazione. Secondo il giudice, in sostanza, l’imputato sarebbe responsabile degli sversamenti effettuati nottetempo nel vicino torrente da parte di terzi perchè non avrebbe predisposto “una adeguata recinzione”, e ciò nonostante che questi fatti fossero stati segnalati al corpo forestale. Così facendo, però, il giudice ha inammissibilmente creato una posizione di garanzia, che non trova fondamento alcuno nel nostro ordinamento giuridico, in forza della quale chi è proprietario di un terreno adiacente ad un torrente deve cintarlo affinchè nessuno possa scaricare rifiuti nello stesso; altrimenti, è responsabile (“a titolo di colpa”) del comportamento illecito dei terzi. Ossia, secondo il giudice, ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p., l’imputato sarebbe tenuto ad impedire che terzi scarichino rifiuti nel torrente passando per il suo terreno. Al contrario è principio pacifico, innumerevoli volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, anche sulla base degli artt. 23 e 25 Cost., che nessuno può essere chiamato a rispondere per il semplice fatto che un suo possibile intervento soccorritore avrebbe scongiurato la lesione di beni giuridici altrui, a meno che non vi sia una specifico obbligo giuridico, imposto espressamente da una specifica disposizione legislativa, di impedire il verificarsi di quello specifico evento. E’ sufficiente a questo proposito richiamare la sentenza della Sez. 3, 12.10.2005, n. 2206/06, Bruni, la quale – proprio in riferimento all’annullamento di una condanna per abbandono di rifiuti in una cava fondata sulla tesi che l’imputato sarebbe stato responsabile in forza dell’art. 40 c.p., comma 2 per non avere recintato l’area di cava come impostogli peraltro dal provvedimento di concessione – affermò con particolare efficacia che il principio di tassatività delle fattispecie penali impone di considerare come presupposto di applicabilità della norma in questione non tanto un obbligo generico di attivarsi derivante da fonte giuridica (legale o contrattuale), quanto piuttosto un obbligo giuridico specifico di compiere proprio quella azione che avrebbe impedito l’evento di reato. Il presupposto di operatività del principio di causalità omissiva è la esistenza di un obbligo stabilito proprio per impedire eventi del genere di quello che si verifica nel reato considerato. Secondo la sentenza, nella specie, invece, l’obbligo di recinzione della cava era stato assunto non per impedire a terzi di utilizzarla come discarica, bensì per fini di polizia amministrativa e per proteggere l’incolumità pubblica, sicchè, una volta cessata l’attività estrattiva, l’obbligo era venuto meno. La realizzazione della discarica pertanto non poteva essere addebitata al proprietario a titolo di responsabilità omissiva, giacchè sul proprietario in quanto tale non grava alcuna posizione di garanzia in ordine ai rifiuti, atteso che gli obblighi di corretta gestione e smaltimento dei rifiuti sono posti esclusivamente a carico dei produttori e dei detentori dei rifiuti medesimi. In particolare, nessun obbligo giuridico di controllo può ravvisarsi a carico del proprietario in relazione a rifiuti gestiti e smaltiti da altri, tale non essendo, evidentemente, l’obbligo di ripristino che ha carattere riparatorio e non preventivo. E difatti, la responsabilità omissiva sancita nell’art. 40 cpv. trova fondamento nel principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., all’art. 41 Cost., comma 2, e all’art. 42 Cost., comma 2, ma contemporaneamente essa trova un limite in altri principi costituzionali e segnatamente nel principio di legalità della pena consacrato nell’art. 25, comma 2, il quale si articola nella riserva di legge statale e nella tassatività e determinatezza delle fattispecie incriminatrici. E’ proprio in ragione di questo limite che la responsabilità omissiva non può fondarsi su un dovere indeterminato o generico, anche se di rango costituzionale come quelli solidaristici o sociali di cui alle norme citate; ma presuppone necessariamente l’esistenza di obblighi giuridici specifici, posti a tutela del bene penalmente protetto, della cui osservanza il destinatario possa essere ragionevolmente chiamato a rispondere. In particolare, la funzione sociale della proprietà di cui all’art. 42, Cost., comma 2, può costituire il proprietario in una posizione di garanzia a tutela di beni socialmente rilevanti, e quindi può fondare una sua responsabilità omissiva per i fatti di reato lesivi di quei beni, solo se essa si articola in obblighi giuridici positivi e determinati, diretti a impedire l’evento costitutivo del reato medesimo. Questa interpretazione è stata poi ribadita e confermata da altre decisioni analoghe (ex plurimis, Sez. 3, 9.10.2007, n. 2477/08, Marciano; Sez. F., 13.8.2004, n. 44274, Presiosi). Il quarto motivo resta assorbito, ma è opportuno comunque osservare che è anch’esso fondato perchè il giudice, pur avendo ammesso “l’imputato … al giudizio abbreviato” ha poi dimenticato di applicare la riduzione di pena prevista dall’art. 442 c.p.p., comma 2. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al tribunale di Aosta.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Aosta.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 12 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2013

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