Errore nei Formulari di identificazione dei rifiuti: Trib. Napoli Sez. X, Sent., 28-11-2013
L’errore nei Formulari di identificazione dei rifiuti comporta un cumulo materiale non un cumulo giuridico.
Va evidenziato, infatti, che la ratio legis, contraria all’assunto del ricorrente, si coglie senza difficoltà nel sistema, laddove, partendo dal catasto dei rifiuti (D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 11) e dall’obbligo di tenuta di registri di carico e scarico (art. 12), risulta, con ogni evidenza, l’intenzione del legislatore di stabilire un sistema di norme e di controlli tali che la quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti prodotti sia oggetto, sin dall’origine ed a prescindere dalle sue vicende successive, di un quadro conoscitivo completo e che l’intero ciclo di gestione dei rifiuti (produzione, stoccaggio, recupero, trasporto, spedizione, smaltimento, intermediazione) possa essere seguito e controllato, al fine di evitare che i materiali oggetto della disciplina legislativa, o parte di essi, ricevano trattamenti impropri e siano avviati per destinazioni ignote.
Rosa Bertuzzi
Trib. Napoli Sez. X, Sent., 28-11-2013
Il Tribunale di Napoli – Decima Sezione Civile – in persona del dr. Michele Magliulo, in funzione di Giudice Unico, ha pronunziato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile iscritta al n. 3188 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2012, avente ad oggetto: opposizione a sanzione amministrativa, e vertente
TRA
P. N., elettivamente domiciliato in Napoli alla Via Generale Orsini 46 presso l’avv. VincenzoCerbone dal quale è rappresentato e difeso
RICORRENTE
E
Amministrazione Provinciale di Napoli, in persona del Presidente pt. della Giunta Provinciale, elettivamente domiciliata in Napoli alla Piazza Matteotti 1 unitamente agli avv. Aldo Di Falco e Serena Lovero dai quali è rappresentata e difesa
RESISTENTE
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
L’opposizione è infondata e deve, pertanto, essere respinta. Oggetto dell’opposizione è la ordinanza d’ingiunzione n. 13363 del 27.12.11 della Provincia di Napoli, con la quale il Dirigente aveva ingiunto a P. N., in solido con la Castaldo s.r.l., nella qualità di autista di tale società, il pagamento della sanzione amministrativa di € 9.305,00, per violazione dell’art. 193 comma 1 DLgs. n. 15272006. La contestazione nasce dal verbale n. 246 elevato il 23.1.2007 dagli agenti della Polizia Provinciale di Napoli, nel quale si riscontrava che, presso la S.G. Costruzioni s.a.s. di Carlo De Vincentiis, erano stati rinvenuti 6 formulari di identificazione, emessi il 9.3.2005 ed il 10.3.2005, relativi al trasporto di rifiutinon pericolosi – trasportati dalla società Castaldo e destinati alla “Ital Ambiente srl.” – tutti riportanti il codice CER 17.09.04, in violazione del comma 1 dell’art.
193 Dlgs. n. 152/2006 “..in quanto non vi è riportato nell’apposito spazio 6 (QUANTITA’) il peso in partenza”.
Nel merito, non è sostanzialmente contestato il fatto storico, accertato, comunque, inequivocamente e fino a querela di falso, nel corso di un controllo effettuato dagli agenti della Polizia Provinciale, secondo cui i formulari indicati, relativi al trasporto del rifiuto, presentavano dati incompleti, in quanto mancavano dell’indicazione del peso in partenza. n effetti, quanto all’obbligo di indicare il peso l’art. 15 Dlgs. n. 22/1997, applicabile ratione temporis alla fattispecie, prevedeva che:
“1. Durante il trasporto effettuato da enti o imprese i rifiuti sono accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare, in particolare, i seguenti dati:
a) nome ed indirizzo del produttore e del detentore;
b) origine, tipologia e quantità del rifiuto;…
5. Il modello uniforme di formulario di identificazione di cui al comma 1 è adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto”. Il modello del formulario di identificazione è stato, poi, approvato con Decreto del Ministero dell’Ambiente 1.4.1998 n. 145 che all’allegato 2 prevedeva tra l’altro: “[6] Quantità: (-) Kg. o litri (P.Lordo: ….. Tara: …..) (-) Peso da verificarsi a destino”. Nell’allegato C di detto Regolamento è previsto, nella terza sezione, che sia riportato “alla casella [6] la quantità di rifiuti trasportati espressa in kg. o in litri (in partenza o da verificare a destino)”. L’opponente ha dedotto che tale normativa non richiede la precisa indicazione del peso in partenza, essendo l’obbligo de quo riferito genericamente al “trasporto” dei rifiuti ed essendo possibile indicare il peso nel formulario, in via alternativa, in partenza o a destino. Ora, come affermato in maniera perentoria la Corte di Cassazione, “L’indicazione, nel formulario di accompagnamento, del quantitativo di rifiuti trasportati, è obbligatoria già al momento della partenza del trasporto, dovendo escludersi che tale adempimento doveroso possa essere adempiuto, alternativamente, anche all’arrivo del quantitativo medesimo presso il sito finale di destinazione” (Cass. 11.10.2006 n. 21781; 29.9.2009 n. 20862). In tale pronuncia si è poi chiarito, quanto al presupposto relativo alla asserita ambiguità ed incertezza del dettato normativo, che la necessità dell’indicazione nel formulario di identificazione della quantità del rifiuto trasportato è chiaramente ed inequivocabilmente stabilita dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15, comma 1, lett. b), che, pertanto, non può ingenerare alcun legittimo dubbio o perplessità in proposito. Nè in contrario assume valore significativo il richiamo al D.M. di Attuazione n. 145 del 1998, allegato C, laddove, con riferimento alla casella 6 del formulario di identificazione, afferma che in essa va indicata “la quantità di rifiuti trasportati espressa in kg. o in litri”, aggiungendo tuttavia “in partenza o da verificare a destino”. L’idea secondo cui tale inciso autorizzerebbe una interpretazione delle disposizioni che pongono il relativo obbligo di indicazione della quantità nel senso che esso potrebbe essere adempiuto, alternativamente, alla partenza o alla destinazione del trasporto, non poggia infatti su alcun fondamento nè letterale nè razionale. Sotto il primo profilo, il termine stesso usato dall’allegato regolamentare con riferimento all’indicazione della quantità a destinazione, sta a significare che in tale momento è solo possibile procedere ad un riscontro del peso, segno evidente che esso deve essere già stato indicato. Non è poi chi non veda che la finalità del formulario di identificazione, facilmente intuibile nell’interesse specifico perseguito dalla normativa di controllare costantemente il trasporto dei rifiuti allo scopo di evitare che essi vengano dispersi nell’ambiente (cfr. D.Lgs. n. 22, art. 2), non potrebbe mai realizzarsi e sarebbe inevitabilmente frustrata qualora si ritenesse non obbligatoria ma facoltativa l’indicazione della loro quantità al momento della partenza. Sulle questioni innanzi esaminate, l’interpretazione prescelta dal Tribunale, contraria a quella sostenuta dall’opponente, è stata di recente confermata dalla Cassazione nella sentenza del 23/03/2011 n. 6707 che ha così statuito: “In base al disposto degli art. 12, comma 3, e 15, comma 1, lett. b, d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22, il produttore di rifiuti avviati allo smaltimento deve indicare, all’atto della partenza, nel formulario di accompagnamento, la quantità (espressa in peso o misura) degli stessi, senza poterlo fare, in alternativa, solo all’arrivo, perché il combinato
disposto delle citate disposizioni — tenuto conto della ratio delle medesime — implica la doppia misurazione; né può essere addotto quale esimente, l’errore interpretativo scusabile sulle relative disposizioni di legge, in considerazione dei doveri di esatta conoscenza e di particolare informazione gravanti, per la specificità del settore, sugli operatori professionali in questione”. La Suprema Corte ha, quindi, escluso che le prescrizioni contenute in tale complessiva normativa siano idonee a costituire una valida esimente di colpevolezza ed ha perciò cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto non punibile la condotta ascritta alla società per mancanza dell’elemento soggettivo della colpa, sostenendo, in particolare, che se, da un lato, l’indicazione della quantità dei rifiuti da trasportare costituiva senz’altro un adempimento obbligatorio, dall’altro il dettato normativo in materia appariva ambiguo e tale da ingenerare incertezze in ordine al momento in cui tale indicazione doveva essere eseguita, se al momento della partenza ovvero a quello dell’arrivo. Proprio con riferimento alla stessa fattispecie oggetto del presente giudizio, la Cassazione ha, invece, osservato che l’errore sulla illiceità del fatto, per essere incolpevole, deve trovare causa in un fatto scusabile, situazione questa che se può rinvenirsi in presenza di atti o circostanze positive tali da ingenerare una certa convinzione sul significato della norma, certamente non può essere identificata nella mera asserita incertezza del dettato normativo, specie se causata da una errata soggettiva percezione dello stesso, trattandosi di condizione sempre superabile, anche mediante una richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione (cfr. in tal senso anche Cass. n. 5925/2006 e 5615/2003). Deve, allora, escludersi l’ignoranza inevitabile di tale precetto nei sensi di cui alla sentenza della Corte cost. n. 364 del 1988 (applicabile in materia di sanzioni amministrative in base all’art. 3 l. n. 689 del 1981), atteso che la colpa, come requisito sufficiente ad integrare l’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo, è normalmente presunta e l’eventuale ignoranza della illiceità della condotta ovvero l’errore sulla liceità del fatto devono risultare inevitabili ed incolpevoli, secondo i canoni della normale diligenza, occorrendo, a tal fine, che siano stati indotti da elementi positivi esterni o da informazioni ed atti provenienti da soggetti qualificati e dovendosi tenere conto, in concreto, dei doveri di conoscenza del soggetto che adduca l’assenza di colpa (Cass. 6.11.2006 n. 23621; 26.11.2008 n. 28236). Tanto più che, nella specie, la dedotta ignoranza avrebbe interessato un operatore professionale in un settore delicato e regolato da particolari prescrizioni normative, cioè un soggetto nei cui confronti il dovere di conoscenza e di informazione in ordine ai limiti e condizioni del proprio operare è particolarmente intenso, con l’effetto che la sua condotta, sotto il profilo considerato, dovrebbe semmai essere valutata con maggior rigore rispetto all’obbligo generico gravante sulla generalità dei cittadini. Nè, del resto, sono ravvisabili, atti o comportamenti esterni tali da giustificare l’affidamento del ricorrente sulla liceità della sua condotta e sul significato e la portata della normativa regolante la materia. Per quanto concerne, poi, la chiesta riconducibilità della infrazione commessa nella diversa ipotesi normativa dell’art. 52 comma 4 Dlg. n. 22/1997, che prevede un trattamento sanzionatorio inferiore a quello del comma 3 applicato, giova ricordare che, mentre la disposizione invocata dall’opponente riguarda la ipotesi in cui “le indicazioni di cui ai commi 1 e 2 sono formalmente incomplete o inesatte ma i dati riportati nella comunicazione al catasto, nei registri di carico e scarico, nei formulari di identificazione dei rifiuti trasportati e nelle altre scritture contabili tenute per legge consentono di ricostruire le informazioni dovute”, quella applicata dalla P.A. sanziona “Chiunque omette di tenere ovvero tiene in modo incompleto il registro di carico e scarico di cui all’articolo 12, comma 1”. Corretta, allora, risulta, ad avviso del Tribunale, la valutazione operata dalla resistente. In effetti, non può ravvisarsi nella fattispecie concreta la sussistenza dei presupposti richiesti da detta disposizione, perché la incompletezza rilevata non è meramente formale ma consiste in una sostanziale e totale omissione di un dato richiesto dalla legge. Come pure irrilevante si appalesa la dedotta indisponibilità presso la società committente della macchina da peso, circostanza che, comunque, alla luce di quanto sopra esposto, avrebbe al più imposto all’istante di rifiutarsi di eseguire la prestazione. E ciò pur a prescindere dall’ulteriore rilievo che gli elementi utili per ricostruire le informazioni dovute non sono contenuti nelle indicazioni medesime, bensì in documentazione diversa, ovvero sulla base di una ricostruzione del peso desunto dalla utilizzazione “a pieno carico” degli automezzi, come dedotto dall’istante, ma ciò non può esimere ex post il rispetto del dato formale imposto dalla legge in modo inderogabile e per finalità di prevenzione.
Va evidenziato, infatti, che la ratio legis, contraria all’assunto del ricorrente, si coglie senza difficoltà nel sistema, laddove, partendo dal catasto dei rifiuti(D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 11) e dall’obbligo di tenuta di registri di carico e scarico (art. 12), risulta, con ogni evidenza, l’intenzione del legislatore di stabilire un sistema di norme e di controlli tali che la quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti prodotti sia oggetto, sin dall’origine ed a prescindere dalle sue vicende successive, di un quadro conoscitivo completo e che l’intero ciclo di gestione dei rifiuti (produzione, stoccaggio, recupero, trasporto, spedizione, smaltimento, intermediazione) possa essere seguito e controllato, al fine di evitare che i materiali oggetto della disciplina legislativa, o parte di essi, ricevano trattamenti impropri e siano avviati per destinazioni ignote. Risulta, quindi, evidente che la mancata indicazione del peso dei rifiuti all’origine del trasporto potrebbe vanificare l’intenzione del legislatore consentendo al trasportatore anche di prelevare quantità di rifiuti da più di un produttore (alcuno dei quali potrebbe restare ignoto) e di portarne a destinazione quantità minori smaltendo illecitamente in itinere le quantità non indicate in partenza nei bollettari. Non può, infine, essere disposta l’applicazione del cumulo giuridico, vertendosi in ipotesi di pluralità di violazioni in materia di rifiuti, rappresentate dalle omissioni contenute in ciascuno dei formulari indicati. Infatti, la disposizione prevista dal secondo comma dell’art. 8 della L. n. 689/1981, stabilisce che il cumulo giuridico previsto nell’ipotesi di concorso formale si applica anche “a chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno posto in essere in violazione di norme che stabiliscono sanzioni amministrative, commette, anche in tempi diversi, più violazioni della stessa o di diverse norme di legge in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie”. Come chiarito dal costante insegnamento della Suprema Corte, “l’art. 8 citato, pur prevedendo l’applicabilità dell’istituto del cosiddetto «cumulo giuridico» tra sanzioni nella sola ipotesi di concorso formale (omogeneo od eterogeneo) tra le violazioni contestate – in cui con un’unica azione od omissione sono commesse violazioni plurime – non è, invece, invocabile con riferimento alla diversa ipotesi di concorso materiale – in cui una pluralità di violazioni è commessa con più azioni od omissioni – atteso che la norma prevede espressamente tale possibilità soltanto per le violazioni in materia di previdenza ed assistenza e che non è applicabile in via analogica l’art. 81 c.p., stante la differenza morfologica tra illecito penale ed illecito amministrativo, anche alla luce del diverso atteggiarsi dei profili soggettivi relativi alle due tipologie di illecito”. In altri termini, l’istituto del cumulo giuridico delle pene, previsto per il caso della continuazione fra reati, non è applicabile in via analogica al concorso materiale di violazioni amministrative, le cui sanzioni pertanto devono essere applicate autonomamente e per l’intero. Anzi, in tema di sanzioni amministrative, l’istituto della reiterazione nell’illecito, previsto dall’art. 8 bis L. n. 689/1981 introdotto dall’art. 94 Dlg. 30.12.1999 n. 507, rappresenta il corrispondente in materia amministrativa di alcune forme della recidiva penale (specifica ed infraquinquennale, art. 99, comma 2, numeri 1 e 2, c.p.), fungendo da circostanza aggravante nei casi espressamente previsti dalla legge. Pertanto, esso non opera quale elemento unificante ai fini della sanzione del precedente art. 8 a guisa di continuazione (art. 81 comma 2 c.p.), e non ha modificato il principio generale, desumibile dal citato art. 8, secondo cui la sanzione più grave aumentata sino al triplo non può essere irrogata, salve le ipotesi eccezionali del comma 2 (violazioni delle norme previdenziali ed assistenziali), che nei soli casi di concorso formale corrispondente al comma 1 dell’art. 81 c.p. (Cass. pen. 06/05/2009, n. 25933; Cass. civ. sez. lav. 06/10/2008 n. 24655; 21/05/2008 n. 12974; 08/08/2007 n. 17347; cfr. anche Corte cost., n. 421 del 1987). La determinazione operata dall’ente resistente, allora, risulta condivisibile, tenuto conto del numero elevato dei formulari in contestazione (sei) e dei criteri richiamati dalla P.A. nel provvedimento impugnato. Ne deriva che la opposizione risulta infondata e che, pertanto, va confermata l’ordinanza impugnata. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunziando, così provvede:
a) rigetta l’opposizione e per l’effetto conferma l’ordinanza impugnata;
b) condanna l’opponente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 10,00 per spese e € 900,00 per compensi, oltre Iva e Cpa come per legge.
Così deciso in Napoli il 28.11.2013.