Conseguenze del cacciatore che minaccia un guardiacaccia -TAR Trento Sez. Unica n.361, del 7 .11.2013

Caccia e animali. Legittimità revoca licenza porto di fucile per uso caccia, a seguito di minacce rivolte ad un guardia caccia nell’esercizio delle sue funzioni.

Le norme di legge richiedono che il detentore di armi e di munizioni sia esente da qualsiasi sospetto o indizio a lui sfavorevoli (riferiti al complesso di comportamenti, atteggiamenti e situazioni che coinvolgono l’interessato, anche non penalmente rilevanti); che sia “indenne da mende”: cioè che osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza non solo, ovviamente, delle norme penali e di tutela dell’ordine pubblico, ma anche delle comuni regole di convivenza civile; che nei suoi confronti, in definitiva, sussistano “margini assoluti di sicurezza circa il buon utilizzo delle armi”.

Rosa Bertuzzi

N. 00361/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00342/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento
(Sezione Unica)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 342 del 2012, proposto da:
Alfiero Sega, rappresentato e difeso dall’avv. Marcello Ongari e con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, via Malpaga, n. 24
contro
Amministrazione dell’Interno, Commissario del Governo per la Provincia di Trento e Questore di Trento, in persona del Ministro pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato di Trento domiciliata per legge in Trento, Largo Porta Nuova, n. 9
per l’annullamento
– del provvedimento del Commissario del Governo per la Provincia di Trento prot. n. 2012/2483/14765/Area 1, del 28.8.2012, con il quale è stato respinto il ricorso gerarchico presentato dal ricorrente in data 7.6.2012 avverso il decreto del Questore di Trento che gli ha revocato la licenza di porto di fucile per uso caccia;
– del presupposto provvedimento del Questore della Provincia di Trento prot. n. 2425 P.A.S./Cat.6D/2012, datato 19.4.2012, recante la revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia;
– di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2013 il cons. Alma Chiettini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

                                                                                                                             FATTO e DIRITTO
1. Col presente ricorso il sig. Sega, titolare di una licenza di porto di fucile per uso di caccia, ha impugnato il provvedimento del 28 agosto 2012, precisamente indicato in epigrafe, con cui il Commissario del Governo per la Provincia di Trento ha respinto il ricorso gerarchico avverso il decreto (anch’esso indicato in epigrafe) con cui il 19 aprile 2012 il Questore di Trento gli ha revocato detta licenza.
2. Il provvedimento del Questore di revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia è fondato sui seguenti rilievi:
– la sussistenza di un decreto penale di condanna, depositato il 19.1.2011 e irrevocabile dal 18.2.2011, che ha condannato il sig. Sega alla pena di 2 mesi di reclusione, sostituita con la pena pecuniaria di € 15.000,00, per il reato di cui agli artt. 337 e 339 c.p., resistenza aggravata a pubblico ufficiale, a seguito di minacce rivolte ad un guardia caccia nell’esercizio delle sue funzioni il giorno 17 ottobre 2010 in località Masi di Avio;
– il conseguente venir meno dei requisiti essenziali di affidabilità e di buona condotta richiesti ai titolari di porto d’armi.
3. Il provvedimento del Commissario del Governo di reiezione del ricorso gerarchico specifica che è dovere dell’Autorità amministrativa adottare provvedimenti inibitori dell’uso di armi nei confronti di detentori che abbiano posto in essere comportamenti illeciti “come nel caso di specie”.
4. L’atto introduttivo del giudizio è affidato al seguente articolato motivo di censura:
– violazione degli artt. 11 e 43 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al R.D. 18.6.1931, n. 773, difetto di motivazione e dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e di prova.
Il ricorrente premette anzitutto che il fatto contestato e posto a base della condanna inflittagli non sarebbe stato accertato correttamente e in contraddittorio; egli fornisce quindi una ricostruzione dell’episodio diversa da quella contenuta negli atti di causa, dalla quale si evincerebbe che il guardia caccia avrebbe travisato la sue parole; precisa poi di non aver prestato acquiescenza al decreto penale di condanna ma di non aver proposto opposizione a causa di un grave errore professionale commesso dell’avvocato che lo aveva assistito in quel procedimento; denuncia che la Questura non avrebbe effettuato autonomi accertamenti sulla sussistenza di un pericolo di abuso delle armi, dai quali sarebbe emerso che egli ha sempre mantenuto una condotta irreprensibile e che non ha mai assunto alcun atteggiamento che abbia messo in discussione la sua capacità di non abusare delle armi.
In via istruttoria il deducente ha chiesto ammissione di testimonianza scritta.
5. La costituita Amministrazione dell’Interno ha contestato la fondatezza del ricorso.
6. Alla pubblica udienza del 24 ottobre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
7. Tanto premesso il Collegio pregiudizialmente deve respingere le richieste istruttorie avanzate dal difensore del ricorrente concernenti l’acquisizione della testimonianza scritta del teste Claudio Rizzi di Masi di Avio; infatti, la documentazione versata agli atti di causa è sufficiente per definire la presente vicenda litigiosa.
8. Preliminarmente, giova rammentare che il presupposto normativo del divieto di detenere armi e munizioni si riscontra nell’art. 39 del R.D. 18.6.1931, n. 773, recante il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, che recita: “il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne”. A sua volta, l’art. 43 dello stesso testo unico prescrive che la licenza di portare armi “può essere ricusata … a chi .. non dà affidamento di non abusare delle armi”. Più in generale, quanto alle autorizzazioni di polizia, l’art. 11 dello stesso testo unico prevede che le stesse “devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate”, mentre “possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego”.
Sulla tematica è intervenuta la Corte Costituzionale affermando che il porto d’armi “non costituisce un diritto assoluto”, ma che, all’opposto, è “un’eccezione” al vigente divieto di portare armi. Per cui tale eccezione può operare soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la “perfetta e completa sicurezza” circa il “buon uso” delle armi, in modo tale da scongiurare ogni possibile dubbio o perplessità sotto il profilo prognostico dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività.
Nella stessa pronuncia la Corte ha definito “eccezionale la permissività del porto d’armi” e avallato i rigidi criteri restrittivi regolatori della materia, non solo sul piano normativo (quanto ai requisiti soggettivi per il rilascio della licenza in materia di armi), ma anche su quello amministrativo (in ciò testualmente rinviando alla giurisprudenza del Consiglio di Stato), per cui ha concluso affermando che l’autorità amministrativa ha “ampia discrezionalità nell’assentire o meno alla richiesta di porto d’armi” perché “il controllo deve essere più penetrante” rispetto a quello che la stessa autorità effettua ordinariamente con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso (cfr., sentenza 16.12.1993, n. 440, pur pronunciata nell’ambito della dichiarata illegittimità costituzionale di alcune norme del citato testo unico che ponevano a carico dell’interessato l’onere di provare la buona condotta).
9. L’orientamento della giurisprudenza amministrativa assolutamente prevalente ritiene, dal canto suo, che i provvedimenti che impongono il divieto di detenere armi, così come i provvedimenti di revoca ed anche di sospensione temporanea della relativa licenza, costituiscano esercizio di un “potere connotato da elevata discrezionalità”, in considerazione delle finalità per cui lo stesso è attribuito: la tutela dell’ordine pubblico non solo in caso di lesione accertata dopo un avvenuto “abuso”, ma anche “in caso di pericolo di lesione”, sicché “si tratta di un potere attribuito anche con fini di prevenzione della commissione di illeciti” (cfr., ex multis, C.d.S., sez. VI, 10.05.2006, n. 2576; 22.5.2006, n. 2945).
L’esercizio di questo potere ampiamente discrezionale, che involge un giudizio prognostico, è pertanto finalizzato a perseguire l’interesse pubblico volto all’incolumità dei cittadini ed alla prevenzione dei pericoli che conseguono all’uso delle armi, con riferimento alla condotta e all’affidamento complessivo che un soggetto può dare in ordine alla possibilità di abusarne (cfr., C.d.S., sez. VI, 11.12.2009, n. 7774).
Considerato perciò il carattere preventivo di detto divieto, per l’assunzione del relativo provvedimento non è nemmeno necessario che vi sia già stato uno specifico abuso da parte dell’interessato, in quanto è sufficiente che sia dimostrata, sulla base di elementi oggettivi, una scarsa affidabilità nell’uso e nella detenzione delle armi, ma anche l’incapacità di dominare impulsi ed emozioni (cfr., C.d.S., sez. VI, 24.11.2010, n. 8220; 10.12.2010, n. 8707; 6.7.2010, n. 4280; 8.10.2008, n. 4918; 12.2.2007, n. 535; 18.1.2007, n. 63).
In termini più concreti, le norme di legge sopra riportate richiedono che il detentore di armi e di munizioni sia esente da qualsiasi sospetto o indizio a lui sfavorevoli (riferiti al complesso di comportamenti, atteggiamenti e situazioni che coinvolgono l’interessato, anche non penalmente rilevanti); che sia “indenne da mende”: cioè che osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza non solo, ovviamente, delle norme penali e di tutela dell’ordine pubblico, ma anche delle comuni regole di convivenza civile; che nei suoi confronti, in definitiva, sussistano “margini assoluti di sicurezza circa il buon utilizzo delle armi” (cfr., T.R.G.A. Trento 24.10.2013, n. 344; 24.7.2013, n. 261; 12.7.2013, n. 244; 7.6.2012, n. 196; 23.2.2012, n. 59 e n. 60; 8.7.2010, n. 169).
10. Ne consegue che, in sede giurisdizionale, il sindacato deve limitarsi all’esame della sussistenza dei presupposti esposti nell’atto impugnato e nella verifica che essi siano idonei a suscitare la convinzione che l’azione amministrativa abbia rispettato i consueti limiti della logicità, coerenza e plausibilità, e che le motivazioni sulle valutazioni effettuate non si presentino irrazionali, incongruenti o arbitrarie (cfr., C.d.S., sez. VI, 18.12.2009, n. 8418 e 17.12.2007, n. 6463).
11. Applicando i riportati principi al caso in esame, si deve anzitutto rilevare che il provvedimento del Questore di Trento è giustificato sui seguenti presupposti:
– la sussistenza di un reato specifico, di cui al decreto penale irrevocabile n. 11/8, del 19.1.2011, commesso il 17.10.2012, quando l’interessato, con in spalla il fucile carico, ha minacciato un guardia caccia – che stava contestandogli una contravvenzione – dicendo “te sbaro en facia” e, di seguito, usando solennemente il plurale maiestatico, “stiamo guardando di toglierti la divisa”;
– nella stessa occasione il ricorrente è stato sanzionato in via amministrativa perché esercitava la caccia alla lepre a circa 40 metri da un immobile adibito ad abitazione, attività vietata dall’art. 38, comma 1, lett. d), della l.p. sull’attività venatoria 9.12.1991, n. 24.
12a. A fronte di tali precise circostanze, le argomentazioni esposte dal ricorrente non sono in grado di infirmare la legittimità dei provvedimenti impugnati.
Infatti, applicando i principi sopra rammentati, emerge come né la dedotta “scarsa rilevanza penale” del caso definito con il citato decreto penale, né la diversa versione dei fatti fornita dall’interessato, possano costituire elementi idonei a ritenere fondata l’impugnazione qui proposta.
12b. In punto di fatto, quanto alla ricostruzione dell’incontro con il guardia caccia come descritta dal ricorrente, il Collegio non può non osservare che:
– non vi è puntuale coincidenza nelle posizioni difensive dell’istante che, in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato ha affermato di aver detto: “ghe pericol che i te sbara” (cfr., doc. n. 13), mentre nell’atto introduttivo del presente giudizio egli afferma di essersi rivolto al guardia caccia con le seguenti parole: “se non stai attento rischi che i te sbara” (cf., pag. 4);
– tuttavia, tali deduzioni avrebbero dovuto essere sollevate in sede di opposizione al decreto penale, a seguito della quale, e del successivo dibattimento in contraddittorio, sarebbe stata emessa una nuova pronuncia;
– non sono pertinenti le vicende addotte a giustificazione della mancata opposizione al decreto penale: si tratta di fatti del tutto estranei alla vicenda amministrativa qui dedotta, rispetto alla quale l’esistenza del decreto di condanna è un fatto storico inoppugnabile;
– costituisce un ulteriore fatto storico incontestato il fatto che il ricorrente sia stato anche sanzionato perché rinvenuto in assetto da caccia e con il fucile carico e pronto alla sparo a meno di 100 m. da un’abitazione, risultando altresì irrilevante ciò che egli asserisce in proposito in questa sede (sarebbe stata sua volontà tornare verso il parcheggio a causa della pioggia), posto che le mere intenzioni non sono in grado di intaccare l’evento materiale accertato.
12c. In punto di diritto, rilevato che il decreto penale di condanna costituisce il fondamento del provvedimento di revoca della licenza, il Collegio osserva che se è vero che l’art. 460 c.p.p. esclude l’efficacia di giudicato del decreto penale “nel giudizio civile o amministrativo”, è altresì certo che lo stesso articolo non si riferisce anche ai procedimenti amministrativi, com’è quello all’esame.
Ne deriva che un decreto penale di condanna, pur non essendo in grado di produrre gli stessi effetti della sentenza penale passata in giudicato, ha pur sempre valore decisorio circa l’accertamento dell’esistenza del fatto materiale costituente reato e della sua imputabilità al condannato. Infatti, il decreto contiene l’enunciazione del fatto, delle circostanze e delle disposizioni di legge violate, la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata. Una volta esecutivo, l’accertamento contenuto nel decreto è quindi suscettibile di essere utilizzato in sede amministrativa per tutte le valutazioni conseguenti (cfr., T.R.G.A. Trento, 10.7.2013, n. 231; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 21.10.2010, n. 32936; C.d.S, sez. VI, 19.5.2008, n. 2276; sez. V, 6.12.2006, n. 7195).
13. Pertanto, la valutazione – sia oggettiva che soggettiva – espressa dall’Autorità amministrativa è stata effettuata considerando sia la sussistenza di un reato specifico (minacce aggravate dall’uso delle armi) che le circostanze concomitanti (presenza con fucile carico in prossimità di abitazione), da cui la conclusione che è oggettivamente venuta meno in capo al ricorrente la completa affidabilità che qualsiasi detentore di armi deve garantire nei confronti della collettività, la quale va protetta da pericoli, anche solo potenziali, che possono derivare da chi dà adito a dubbi sulla capacità di un totale autocontrollo e assoluto rispetto delle regole di civile convivenza.
14. In definitiva, il ricorso va respinto.
15. Le spese, come di regola, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento (Sezione Unica)
definitivamente pronunciando sul ricorso n. 342 del 2012,
lo respinge.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio a favore dell’Amministrazione resistente, che liquida in complessivi Euro 1.500,00 (millecinquecento).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2013 con l’intervento dei magistrati:
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/11/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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