Cassazione Penale sez. IV 14/6/2013 n. 26238

In dibattimento non accertano se il ciclista circolava a bordo della bici o la conduceva a mano: sentenza annullata per determinazione basate su congetture.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 19 marzo – 14 giugno 2013, n. 26238
Presidente Brusco – Relatore Dovere

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza emessa il 24.5.2011 la Corte di Appello di Catania, in riforma della pronuncia di condanna di E.F. pronunciata dal Tribunale di Catania, sezione distaccata di Giarre, per il reato di cui all’art. 589 cod. pen., assolveva l’imputato perché il fatto non costituisce reato.
In primo grado l’E. era stato ritenuto colpevole dell’omicidio colposo in danno di L.S.G. , per averlo investito alla guida del proprio veicolo mentre la vittima utilizzava una bicicletta percorrendo la strada nell’opposto senso di marcia.
Ad avviso della Corte distrettuale, la ricostruzione operata dal primo giudice, secondo la quale il L.S. si immetteva in via dei (omissis) contromano con una bicicletta e percorsi pochi metri veniva investito dall’E. che sopraggiungeva dalla direzione opposta, non era condivisibile nella parte in cui attribuiva a distrazione del guidatore la causa dell’incidente. Osservava il Collegio territoriale che su tale conclusione pesava l’incognita processuale sul fatto che il L.S. , al momento dell’incidente, conducesse a mano la bicicletta oppure la montasse. Infatti, ad avviso del giudice di secondo grado, se il L.S. spingeva la bicicletta il sinistro era da addebitare all’autista, che non si era accorto del pedone; se invece la montava poiché il percorso fatto era di pochi metri e quindi era stato svolto in un tempo brevissimo, il ciclista aveva colto di sorpresa il conducente dell’auto.
Il primo giudice aveva ritenuto che se anche il L.S. fosse stato alla guida del velocipede la velocità sarebbe stata ridotta e quindi non in grado di sorprendere l’automobilista.
La Corte di Appello dissentiva, sull’assunto che una bicicletta, per quanto tenuta ad andatura moderata, deve pur sempre muoversi ad una velocità maggiore di quella del pedone. L’assenza di tracce di frenate non potevano essere ricondotte con certezza alla distrazione dell’autista, potendo trovare giustificazione nella repentina immissione del L.S. in via dei (omissis) .
In conclusione la Corte distrettuale concludeva nel senso di escludere che il L.S. conducesse la bicicletta a mano, e ciò sulla base dei danni riportati dalla stessa, e che il sinistro fosse accaduto perché il la vittima, immessasi repentinamente in via dei (OMISSIS) , aveva perso l’assetto di marcia e, anche per l’istintiva manovra di riequilibrio, aveva portato la bicicletta al centro della strada, venendo così a collisione con l’autovettura.
2. Ricorrono per cassazione le costituite parti civili, L.S.S. e L.S.A. , a mezzo del difensore di fiducia. Con un unico motivo deducono la violazione dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen..
Il Giudice di seconde cure avrebbe fondato il giudizio su mere congetture, avendo optato per una ricostruzione del sinistro che non trova addentellati nelle acquisizioni processuali e che si fonda su circostanze meramente ipotetiche, come quella della perdita di equilibrio del L.S. mentre si trovava alla guida del proprio velocipede.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è fondato.
3.1. Allorquando il giudice di seconde cure ritenga di dover accedere a conclusioni difformi da quelle cui era pervenuti il primo giudice egli è tenuto a motivare esaustivamente le ragioni della diversa ricostruzione. Come è stato affermato da questa Corte, “in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di condanna del giudice di primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni” (Sez. 4, n. 35922 del 11/07/2012 – dep. 19/09/2012, p.c. in proc. Ingrassia, Rv. 254617).
Nel caso di specie, il Tribunale ha affermato la responsabilità dell’E. ritenendo che dalla documentazione in atti emergesse:
– che via dei (OMISSIS) presentava una carreggiata veramente ampia, con la possibilità per le auto di sostare lungo il marciapiede;
– che il L.S. , al momento dell’impatto, aveva certamente completato la manovra di svolta, perché la bicicletta fu rinvenuta a circa dieci metri dall’incrocio;
– che certamente il ciclista teneva la propria destra e non occupava il centro della carreggiata (ancora dalla posizione della bicicletta sulla strada);
– che la visuale di chi si avvicina all’incrocio con via (OMISSIS) era del tutto libera permettendo di scorgere chi avesse fatto la svolta, a piedi o inforcando il velocipede.
Quindi, per il Tribunale, l’investimento del L.S. avvenne perché l’E. non regolò la velocità del proprio veicolo in relazione all’ostacolo costituito dal ciclista. Concludendo per l’indifferenza dell’alternativa conduzione della bicicletta a piedi o inforcandola, non risolta dall’istruttoria dibattimentale.
A cospetto della descritta motivazione, la Corte di Appello sostiene che il L.S. montava la bicicletta, attesa l’entità del danno alla ruota anteriore della stessa; che la mancanza di tracce di frenata sull’asfalto era dovuta alla sorpresa dell’E. di fronte ad un ciclista che gli veniva incontro a velocità maggiore a quella di un pedone.
Ma per giustificare l’impatto la Corte di Appello ha dovuto affermare che il ciclista dovette perdere l’equilibrio, a causa della manovra di svolta. Si tratta di affermazione meramente congetturale, posto che non essa non si pone a confronto con i dati di fatto evidenziati dal Tribunale (e sopra riassunti), rappresentandone quindi non il motivato superamento ma la semplice, apodittica negazione. Nella motivazione impugnata non si coglie alcuna considerazione -sia pure critica – delle valutazioni operate dal primo giudice, con ciò risultando violato il principio per il quale “il giudice d’appello può pervenire ad una ricostruzione del fatto difforme da quella effettuata dal giudice di primo grado, ma in tal caso, per non incorrere nel vizio di motivazione, ha l’onere di tenere conto delle valutazioni in proposito svolte da quest’ultimo e di indicare le ragioni per le quali intende discostarsene” (Sez. 4, n. 37094 del 07/07/2008 – dep. 30/09/2008, Penasa, Rv. 241024).
4. La sentenza impugnata, dalle sole parti civili, va quindi annullata agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.

Cassazione penale 26238/13

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